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Articolo 89:   Educazione sibillina

   Nelle zone sibilline, nei tempi passati, sussistevano, e in parte resistono ancora adesso, dei metodi educativi in aggiunta a quelli tradizionali. A volte infatti non bastava l’educazione impartita dalla scuola o dalla parrocchia e le famiglie intervenivano  per educare i bambini e i ragazzi a non comportasi in un certo modo e a non frequentare determinati  posti, soprattutto in ore notturne. Per fare ciò si ricorreva a degli strani protagonisti sempre inventati dalla sapienza popolare.

   Per i più piccoli c’era “lu marosciu”, un animale mostruoso mai visto da nessuno ma sempre pronto ad intervenire in caso di determinati comportamenti. Se il bambino voleva andare in un luogo vietato interveniva subito un famigliare che gli diceva: “Vai, vai, la c’è lu marosciu”. Questo serviva per impedire ai bambini di uscire di notte e soprattutto li convinceva a non andare in luoghi per loro pericolosi (per esempio la stalla del maiale o quella del toro).

   Per i più grandicelli c’erano “li mazzamurelli”, anche questi mai visti da nessuno, si diceva che fossero tipo folletti celtici, i quali bussavano alle porte o alle finestre, senza farsi vedere, per avvertire che nella casa da loro individuata, in caso di comportamenti scorretti, si sarebbero verificate spiacevoli vicende. Questo serviva per tenere a bada i  ragazzi intenzionati a compiere avventure poco tranquillizzanti. Anche in questo caso interveniva subito un famigliare per fare notare al ragazzo indisciplinato  che “lu mazzamurellu” aveva bussato per lui. Sembra strano ma di fronte a questi richiami i ragazzi pensavano, meditavano e modificavano il loro modo di comportarsi.

   Per i grandi c’era “lo tristo”, questo non era un vero e proprio personaggio ma era qualcosa di terrificante, a volte luminoso, a volte rumoroso, altre volte ombreggiante. “Lo tristo” di preciso non è stato visto mai da nessuno ma le storie ad esso relative, raccontate alla sera vicino al fuoco, erano sempre spaventose. Anche questi racconti servivano per educare la gente a non andare in giro di notte.

   C’era poi, dentro una stanza buia,  un uomo-animale, “lu lupumanà”  (il lupo mannaro) che metteva veramente paura a tutti, specialmente ai bambini. Molte persone dicevano (per spaventare) di aver visto quell’essere deforme e lo descrivevano sempre con particolari raccapriccianti: peloso, con unghie taglienti e denti enormi. Di sicuro mai nessuno lo ha visto veramente ma una cosa è certa, in quella stanza buia, magari piena di “tesori”,  nessuno aveva il coraggio di andarci.

 

 

 

 

   Nelle zone sibilline, specialmente nella campagna, c’era molto rispetto per i defunti e a nessuno era permesso di scherzare su questo argomento. Se qualcuno non portava considerazione nei confronti delle  persone morte veniva subito minacciato dell’arrivo della “pantafaca”. Questa era, secondo coloro che la invocavano, l’anima di un defunto che tornava a camminare sulla pancia di coloro che offendevano i morti. Molti giurano di averla sentita camminare sulla pancia e di aver sentito un senso di soffocamento quando questa arrivava al collo. Forse la pantafaca non esiste ma quante notti insonni pensando ad essa.

   Sembra incredibile ma questi racconti e questi “personaggi” erano molto educativi, evidentemente anche perché venivano evocati da persone serie (in genere padri e nonni).

   Le madri, invece,  si  sono sempre fidate dell’educazione del prete.

Lu marosciu

Li mazzamurelli

Lu lupumanà

La pantafaca

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