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Articolo 82:   Marche segrete e misteriose

   Le Marche, come dimostra il nome stesso, sono contrassegnate dal pluralismo, dalla diversità delle province, dei comuni e delle contrade e quindi anche dai diversi caratteri delle popolazioni locali. Queste diversità contribuiscono all’unità della Regione anche se non sono prive di dispute di carattere campanilistico. In fondo, in fondo le Marche hanno un’anima sola nata sicuramente  dalla sua storia antica.

   La superficie  attuale delle Marche corrisponde, infatti, tranne alcuni appezzamenti, al territorio occupato nell’antichità, precisamente dal XI al III secolo a.C.,  dal popolo dei Piceni.

   Ma chi erano questi Piceni?

Plinio il Vecchio e Verrio Flacco affermano che, nell’età del ferro, un picchio si posò sul vessillo del popolo sabino che stava marciando alla ricerca di un nuovo territorio. Il picchio, animale sacro per tradizione, indicò il percorso e si fermò nella zona che oggi è occupata dalla città di Ascoli Piceno. Queste tribù sabine,  migrate secondo quanto stabilito da una “primavera sacra”, presero il nome di Piceni (da picus, picchio) ed occuparono tutto il territorio dell’Italia centrale adriatica.

   Di questa civiltà picena, fino a poco tempo fa, si sapeva ben poco ma oggi grazie ai reperti archeologici ritrovati (Numana, Matelica, Porto S. Elpididio, ecc.) ed alle mostre effettuate negli anni scorsi (Germania, Ascoli Piceno, Teramo, Chieti e Roma) ha raggiunto una grande celebrità.

   Nel 1593, quando Cesare Ripa scrisse la sua “Iconologia”, le Marche venivano ancora chiamate “Marca”, al singolare. Nonostante questo l’allegoria ne descriveva già allora le peculiari caratteristiche:

“Si dipinge in forma di una donna bella & di virile aspetto, che con la destra mano si appoggi ad una targa attraversata d’arme d’hasta, con l’elmo in capo. & e per cimiero un pico. & con la sinistra mano tenga un mazzo di spighe di grano, in atto di porgerle. & appresso a lei vi sarà un cane.”

   Il nome Marche (unica regione italiana oggi con il nome al plurale) comparve nell’anno 1815 negli Atti del congresso di Vienna.

   Anche Giacomo Leopardi sognava di scoprire un giorno queste Marche meravigliose e  immortalò questo suo desiderio nei famosi versi delle  “Ricordanze”:

“che dolci sogni mi spirò la vista, di quel lontano mar, di quei monti azzurri che di qua scopro, e che varcare un giorno io mi pensava, arcani mondi, arcana felicità fingendo al viver mio”:

Cecco d’Ascoli, il famoso astronomo sibillino, invece, aveva le idee chiare e definì la Terra di Marca “il bel paese da li dolci colli”.

   Mare, monti, colline, pianori, laghi, fiumi, cascate, boschi, vigneti, frutteti, campi arati, borghi antichi, chiese, monumenti, musei, biblioteche, ristoranti, cantine, ecc. ecc.

   E’ proprio vero, come dice la pubblicità, le Marche sono da scoprire all’infinito:

“Così tra questa immensità s'annega il pensier mio:  e il naufragar m'è dolce in questo mare.”

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