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Articolo 72:    Lu Zaravajjiu

   Anche Montefortino ha la sua maschera caratteristica, si chiama  “Lu Zaravajju”, un termine dialettale che non ha traduzione nella lingua italiana. La maschera è scaturita dal modo stravagante di vestire di una persona realmente vissuta nel comune intorno agli anni ’50. Era una persona povera ma nello stesso tempo anche ricca per la sua filosofia che oggi si potrebbe definire dello “slowfood”: buona, pulita e giusta.

   Intanto si spostava dal centro storico alle varie frazioni sempre a piedi, era disponibile ad effettuare qualsiasi lavoro e non accettava mai soldi per corrispettivo.

   Lavorava semplicemente ma seriamente, a volte due ore, a volte 4 ed a volte l’intera giornata. Era in grado di fare i più disparati lavori: zappettava, potava, raccoglieva le castagne, le noci e l’uva. Alla fine della giornata al contadino che gli chiedeva: “Quanto ti devo dare? Lui rispondeva sempre: “Quello che tu ritieni giusto per quello che fatto”.

   Rifiutava i soldi e prendeva solo prodotti naturali campagnoli: salcicce, salami, uova, formaggio, vino cotto, ecc.

   Nel periodo di Carnevale non lavorava e intensificava i suoi giri per le frazioni perché sapendo che il porco era stato ammazzato da poco poteva rimediare qualcosa da buon cuore contadino.

   Non aveva mai fretta e si fermava a lungo sulle scale esterne delle case di campagna a chiacchierare con gli anziani o a far divertire i bambini con la sua svariata strumentazione.

   Sicuramente è stato il suo modo di vestire a dare il nome alla maschera.

   

 

Indossava sempre un pantalone rattoppato, una camicia o un maglione sempre larghi e sformati, una giacca-cappotto anche questa sempre con le toppe, degli scarponi con i buchi sotto, un cappellaccio di paglia con i buchi e un ombrello senza telo, solo con le bacchette.

   Inoltre aveva attaccate sulla giacca e sui pantaloni un infinità di cravatte variopinte e degli strumenti (un’armonica, una o più campanelle e una trombetta) che facevano accorrere i bambini quando lo sentivano in lontananza.

   Portava anche un sacco (in dialetto “la valla”) che alla fine della giornata si riempiva di cibarie.

   Camminava in maniera rumorosa ed ogni tanto suonava l’armonica, la trombetta o le campanelle.     La gente alla sua vista urlava: “’Rria (arriva) lu zaravajju” e tutti i bambini saltavano di gioia.

   E’ rimasto nel cuore della gente per la sua semplicità ma anche per la sua onestà: non rubava, non  molestava le persone, non si ubriacava e non fumava.

   Questo personaggio, tuttora vivo nella memoria popolana, è diventato la maschera carnevalesca di Montefortino, come è successo per lo Zann ad  Acquasanta Terme e per il Pulcinella a Napoli.

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